Cassazione civile, SEZIONE LAVORO, 10 luglio 2002, Sentenza n. 10031


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro
Composta dai magistrati:
Dott.  Guglielmo  Sciarelli   - Presidente
"    Alberto    Spanò       - Consigliere
"    Luciano    Vigolo             "
"    Giovanni   Mazzarella         "
"    Pasquale   Picone   Relatore  "
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
U.I.L. - ENITI LOCALI MILANO - in persona del segretario generale  in carica, legalmente domiciliata presso la cancelleria della  Corte  di
cassazione, rappresentata  e  difesa  dagli  avv.  Stefano  Nespor  e Antonio Civitelli con procura speciale apposta a margine del ricorso;
-ricorrente-
contro
COMUNE DI MILANO, in persona del  sindaco  in  carica,  elettivamente domiciliato in Roma, Largo Temistocle Solera, n. 7-10  presso  l'avv.
Francesco Pirocchi, che, unitamente  agli  avv.  Maria  Rita  Surano, Elena Savasta e Angelo Vitali, lo rappresenta e difende  con  procura
speciale apposta in calce al controricorso;
- controricorrente -
per l'annullamento della sentenza del Tribunale di Milano n. 2077  in data 26 febbraio 1999 (R.G. 929-1998);
udita la relazione della causa  svolta  nella  pubblica  udienza  del 23.4.2002 dal Consigliere dott. Pasquale Picone;
udito l'avv. Pirocchi;
udito il P. M. in persona del Sostituto  Procuratore  Generale  dott.
Giuseppe Napoletano che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

Il Tribunale di Milano ha giudicato infondato l'appello della UIL - Enti locali di Milano - contro la sentenza del Pretore della stessa sede, di rigetto dell'opposizione al decreto che aveva negato all'organizzazione sindacale la tutela di cui all'art. 28 della legge n. 300 del 1970, domandata nei confronti del Comune di Milano.
Il comportamento antisindacale denunciato era consistito nel richiedere, nell'ambito del progetto "Estate Milano scuola luglio 1997", al personale docente di rendersi disponibile a prestare servizio durante le ferie con un compenso in danaro, anche inferiore ai minimi contrattuali, rifiutando inoltre di prendere in considerazione le osservazioni dell'organizzazione sindacale, con la dichiarazione di essere pronto ad affidare il servizio ai privati.
Il Tribunale ha ritenuto che fosse prospettata la lesione di diritti esclusivamente individuali, ancorché costituzionalmente protetti, la cui difesa e promozione è certamente affidata all'attività dei sindacati, ma proprio per questo non erano configurabili attentati alla libera esplicazione dell'attività sindacale o al diritto di sciopero, neppure sotto il profilo dei contenuti proposti dal Comune per un eventuale accordo collettivo, che il sindacato aveva giudicato inaccettabili.
La cassazione della sentenza è domandata dall'organizzazione sindacale per due motivi, ulteriormente precisati con memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c.; resiste con controricorso il Comune di Milano.

 

Diritto

Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 29 della legge n. 300 del 1970, si sostiene che il Tribunale non ha considerato che anche la lesione di diritti individuali dei lavoratori, ove costituisca attuazione di un disegno complessivo preordinato ad indebolire la tutela collettiva, si colloca fuori dei confini del conflitto legittimo; che, nel caso di specie, pur nel formale rispetto degli istituti di partecipazione sindacale, il Comune aveva proposto un inammissibile accordo in tema di diritti indisponibili, con la minaccia che, in caso di esito negativo delle trattative, avrebbe affidato il servizio ad estranei all'amministrazione, il tutto accompagnato da una campagna di stampa volta a denigrare le posizioni del sindacato.
Con il secondo motivo, denunciando ancora violazione e falsa applicazione dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970, nonché omessa, insufficiente e in ogni caso contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, si assume che il Tribunale aveva del tutto omesso di valutare la circostanza della minaccia pubblicamente espressa di affidare il servizio a privati ove il sindacato non avesse aderito all'accordo (illegittimo), in linea, del resto, con altri comportamenti analoghi che avevano improntato le relazioni sindacali con l'amministrazione comunale e nei quali, si manifestava, tra l'altro, un modo di gestione dei servizi pubblici contrario ai canoni di buona fede e correttezza.
La Corte, esaminati unitariamente i due motivi perché concernenti una questione unica, li giudica infondati.
L'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, detta una norma di natura esclusivamente processuale, contemplando uno strumento di tutela privilegiato di reazione alla lesione della libertà e dell'attività, sindacale, nonché del diritto di sciopero.
La giurisprudenza della Corte ha chiarito che la lesione di queste situazioni soggettive del sindacato si ha in presenza di atti e comportamenti del datore di lavoro che meritano la qualificazione di antigiuridicità in quanto impediscono, compromettono in vario modo, limitano l'esercizio delle libertà e attività garantite al sindacato, con l'ulteriore precisazione che rileva esclusivamente la lesione oggettiva degli interessi collettivi di cui il sindacato è portatore, restando privo di rilievo, ai fini della concessione della tutela inibitoria, l'intento del datore di lavoro, sia nel senso che la tutela non può essere negata in presenza di situazioni di buona fede dell'autore del comportamento, sia nel senso che l'intento di nuocere al sindacato non è idoneo ad integrare condotta antisindacale ove manchi la lesione degli interessi collettivi considerati dalla norma (Cass., sez. un., 12 giugno 1997, n. 5295).
La definizione del concetto di libertà e attività sindacale si ottiene, in positivo, riconducendo a tale ambito tutte le attribuzioni di cui il sindacato è titolare ai fini della tutela di interessi collettivi; in negativo, collocando fuori del suo ambito, la sfera degli interessi morali e patrimoniali dei singoli lavoratori.
Donde l'univoco orientamento della giurisprudenza della Corte, secondo cui la condotta del datore di lavoro violatrice di diritti individuali, derivanti dalla legge (anche dalla Costituzione, come il diritto alla retribuzione o alle ferie) o dai contratti collettivi, non può mai concretare condotta antisindacale, fermo restando che al pregiudizio del diritto individuale potrebbe accompagnarsi anche il pregiudizio di interessi collettivi, come, ad esempio, nel caso di inadempimenti retributivi connessi a scioperi, di reazioni disciplinari all'esercizio di attività sindacali, ecc. (Cass., 8 maggio 1990, n. 3780; 9 febbraio 1991, n. 1364, n. 1364; 18 aprile 2001, n. 5657).
Dagli enunciati principi non si è discostata la sentenza impugnata.
La prospettazione dell'organizzazione sindacale ricorrente, secondo cui il Comune avrebbe proposto ai docenti di prestare servizio in violazione delle normative contrattuale e legali (anche sotto il profilo della lesione del diritto costituzionale alle ferie), è sufficiente per legittimare la conclusione cui il Tribunale è pervenuto: nessun tipo di impedimento, di compromissione o limitazione della libertà e dell'attività del sindacato era ravvisabile nella fattispecie.
Nè il comportamento antisindacale poteva giuridicamente identificarsi nel fatto che il Comune avesse espresso l'intento, ove non fosse stato composto il conflitto, di organizzare in modo diverso il servizio affidandolo al privati.
Sempre secondo la prospettazione della ricorrente, non si versava certamente nell'area della compromissione del diritto di sciopero, nè comunque era ipotizzabile una lesione delle prerogative sindacali, poiché proprio l'impossibilità di superare il dissenso del sindacato avrebbe potuto indurre ad organizzare il servizio in modo diverso.
Più in generale, deve affermarsi che rientra nell'ambito fisiologico del conflitto collettivo l'attacco (anche pretestuoso, anche contrastante con l'ordinamento) alle posizioni espresse del sindacato, mediante critiche di natura "politica" in senso ampio, nonché "minacciando" misure alternative all'accordo, purché in nessun modo si compromettano le possibilità di lotta e reazione garantite dall'ordinamento.
Pertanto, se il Tribunale ha omesso di valutare alcune circostanze di fatto, si tratta, per quanto sopra precisato, di fatti non decisivi ai fini della soluzione della controversia.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell'organizzazione sindacale ricorrente al rimborso delle spese e degli onorari del processo di cassazione, liquidati nella misura determinata in dispositivo.



P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del processo di cassazione, liquidate in euro 10,37 e degli onorari liquidati in euro 2.500.
Così deciso in Roma, il 23 aprile 2002