Cassazione civile, SEZIONE LAVORO, 11 novembre 1998, n. 11392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Gentile RAPONE Presidente, Dott. Alberto EULA Consigliere, Dott. Paolino DELL'ANNO Consigliere, Dott. Vincenzo CASTIGLIONE Consigliere, Dott. Antonio LAMORGESE Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SMOTLAK SONIA, elettivamente domiciliata in Roma, via Cicerone n. 44,
presso l'avv. Bruno Aguglia e rappresentata  e  difesa  dagli  avv.ti
Giovanni Ventura e Fabio Petracci giusta delega Atto Notaio Furio Dei
Rossi di Trieste del 26.3.98 rep. n. 72094;

Ricorrente contro
SITIP S.P.A. (già  SITIP  TRIESTE  S.P.A.)  in  persona  del  legale
rappresentante LUIGI PEZZOLI, elettivamente domiciliata in Roma,  via
G. Puccini n. 10, presso  l'avv.  Giancarlo  Ferri,  che  con  l'avv.
Gianni Sadar la rappresenta e difende giusta delega in atti;

Controricorrente
avverso la sentenza n. 92 del Tribunale di Trieste in data 9 novembre
1995, depositata il 17 febbraio 1996 (R.G. n. 1-95).

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del  20
aprile 1998 dal Relatore Cons. Antonio Lamorgese;
Uditi gli avv.ti Fabio Petracci e Giancarlo Ferri;
Udito il P.M., in persona del Sostituto  Procuratore  Generale  Dott.
Guido Raimondi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Fatto

Con ricorso del 13 gennaio 1995 Sonia Smotlak impugnava la sentenza in data 5 ottobre-28 novembre 1994 con la quale il Pretore di Trieste aveva rigettato la domanda da essa proposta nei confronti della Sitip Trieste s.p.a., sua ex datrice di lavoro, per sentire dichiarare la illegittimità del licenziamento intimatole con lettera del 1 ottobre 1992, perché disposto senza il rispetto delle procedure previste dall'art. 63 del ccnl e comunque privo di giusta causa o giustificato motivo.
Il Tribunale con sentenza pubblicata il 7 febbraio 1996 respingeva l'appello, osservando, per quanto rileva in questa sede, che le mancanze contestate alla dipendente, e confermate dalla istruttoria espletata in primo grado, non rientravano fra quelle per le quali l'art. 64 lettera c) del ccnl prevedeva la sanzione della multa o della sospensione del lavoratore, sia perché alla Smotlak era stata addebitata oltre alla negligenza la imperizia sia per il numero e la gravità delle mancanze, che concretavano un notevole inadempimento contrattuale sì da giustificare il licenziamento.
Contro questa pronuncia ricorre la lavoratrice sulla base di due motivi.
La società datrice di lavoro, ora denominata soltanto Sitip, resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Diritto

Preliminarmente deve essere esaminata la eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla società controricorrente in base al rilievo che la procura rilasciata dalla Smotlak al difensore è priva, dato il suo tenore letterale, del requisito della specialità richiesto dall'art. 365 cod. proc. civ..
L'eccezione va disattesa. In effetti il testo della procura rilasciata dalla ricorrente a margine del ricorso per cassazione non contiene uno specifico riferimento al giudizio di legittimità, essendo stata conferita per "ogni grado e fase del presente giudizio ed atti inerenti e successive, compreso il processo di esecuzione e l'eventuale giudizio di opposizione...", ed in tali ipotesi l'orientamento elaborato da alcune sentenze di questa Corte ed a cui la società resistente si richiama (Cass. 24 maggio 1995 n. 5700 privilegia il dato letterale per escludere la volontà della parte di conferire il mandato per essere difesa in un giudizio di cassazione.
Ritiene però il Collegio di aderire al diverso indirizzo giurisprudenziale, in base al quale la procura speciale a margine del ricorso è valida se, pur non contenendo specifici riferimenti al giudizio di legittimità, non rechi espressioni che univocamente conducano a ritenere che la parte abbia inteso riferirsi ad altro giudizio, in quanto nell'ipotesi di procura a margine o in calce al ricorso (o al controricorso), essa, facendo materialmente corpo con l'atto cui inerisce, esprime di per sè inequivocabilmente il necessario riferimento all'atto stesso e si deve perciò ritenere il carattere di specialità della procura anche se formulata con espressioni generiche e senza uno specifico riferimento al giudizio di legittimità. Di recente, questo secondo orientamento è stato ribadito da altre pronunce, le quali hanno confermato che il requisito della specialità previsto dall'art. 365 cod. proc. civ. deve ritenersi soddisfatto anche quando la procura, apposta a margine o in calce al ricorso per cassazione (o al controricorso) ovvero su foglio separato ad esso materialmente unito, non contenga alcun riferimento alla sentenza da impugnare o al giudizio da promuovere, deponendo per la validità di siffatta procura l'art. 83 cod. proc. civ. nella nuova formulazione quale risultante dall'art. 1 della legge 27 maggio 1997 n. 141, in quanto detta norma, interpretata alla luce dei criteri letterale, teleologico e sistematico, fornisce argomenti per ritenere che la posizione topografica della procura è idonea al tempo stesso, a conferire la certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a dar luogo alla presunzione di riferibilità della procura stessa al giudizio cui l'atto accede (Cass. sezioni unite 10 marzo 1998 nn. 2642 e 2646). In altre decisioni (Cass. 11 marzo 1998 n. 2676, Cass. 18 aprile 1998 n. 3981, Cass. 29 aprile 1998 n. 4357) si è pervenuto al medesimo risultato, risolvendo i dubbi derivanti dalla assenza nel testo della procura rilasciata a margine del ricorso per cassazione e priva di espressi riferimenti al giudizio di legittimità, in favore della sussistenza del requisito della specialità, richiamando il principio di conservazione dell'atto giuridico di cui è espressione in materia processuale l'art. 159 cod. proc. civ..
Passando all'esame del ricorso, con il primo motivo la Smotlak denuncia violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e censura la sentenza impugnata per aver omesso di procedere alla interpretazione complessiva della normativa contrattuale, in particolare delle clausole di cui agli artt. 64 e 66: avendo le parti previsto espressamente la sanzione della multa o della sospensione per il dipendente che per negligenza avesse eseguito male il lavoro e nel successivo art. 66 il licenziamento in caso di grave negligenza nell'esecuzione del lavoro comportante pregiudizio per l'incolumità delle persone o per la sicurezza degli impianti, si deve ritenere, considerata anche la esplicita previsione del licenziamento per quelle mancanze che, sanzionate con provvedimento conservativo, fossero state reiterate, che le parti non avevano inteso applicare il licenziamento ai casi di semplice negligenza. Aggiunge la ricorrente che l'art. 66 citato, nella parte in cui dispone "la predetta elencazione non esclude che quegli altri comportamenti o fatti che per la loro natura o gravità configurano giusta causa o giustificato motivo di licenziamento", non toglie efficacia alla lettura coordinata delle due clausole nei termini di cui innanzi, consentendo il licenziamento per altre ipotesi di gravità rilevante e non inserite in quelle elencate.
Il motivo è infondato. L'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, come ha ripetutamente evidenziato la giurisprudenza di questa Corte (v. fra le più recenti le sentenze n. 435 del 17 gennaio 1997 e n. 2354 del 18 marzo 1997), è riservata all'esclusiva competenza del giudice di merito, essendo il sindacato di legittimità limitato alla sola verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. nonché della coerenza e logicità della motivazione ed in particolare, ove la doglianza attenga alla violazione di citati canoni interpretativi, deve essere precisato in quel modo il ragionamento del giudice abbia deviato da essi, non essendo ammissibile un generico richiamo ai criteri astrattamente intesi e neppure una critica della ricostruzione della volontà dei contraenti non riferibile a tale violazione, ma consistente nella prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza impugnata.
Tra i criteri interpretativi di cui alle citate disposizioni quello letterale è fondamentale e prioritario per la ricostruzione della comune volontà delle parti, con la conseguenza che, ove le espressioni usate dalle parti siano di chiaro ed inequivoco significato, resta superata la necessità del ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici (v. fra le numerose Cass. 27 giugno 1997 n. 5734).
Orbene, la sentenza impugnata richiamando il dato testuale del secondo comma dell'art. 66 del contratto collettivo - "la predetta elencazione (quella cioè contenuta nelle lettere c) ed e) del primo comma del medesimo articolo) non esclude quegli altri comportamenti o fatti che per la loro natura o gravità configurano giusta causa o giustificato motivo di licenziamento" - si è implicitamente rifatta al criterio letterale per ritenere sussistente, così come aveva fatto il primo giudice, un giustificato motivo di licenziamento con riferimento alla citata clausola.
E la ricorrente sostenendo che la interpretazione letterale e nel frattempo complessiva della normativa contrattuale porta a ritenere che le parti avessero inteso escludere la sanzione del licenziamento per le ipotesi di negligenza diverse da quella della recidiva e da quella collegata al grave pregiudizio alla sicurezza degli impianti e delle persone, non spiega come il Tribunale si sia discostato dal significato letterale risultante dalla formulazione della clausola ed insiste piuttosto nella prospettazione di una diversa più favorevole interpretazione.
Ma si deve rilevare che anche con riferimento al canone dell'interpretazione complessiva di cui all'art. 1363 cod. civ. le ragioni riportate nella sentenza impugnata giustificano il risultato interpretativo cui perviene il Tribunale. Infatti il giudice del gravame, dopo avere evidenziato che l'art. 64 lettera c) del contratto collettivo in vigore all'epoca dei fatti prevedeva l'irrogazione della multa o della sospensione al lavoratore che "per negligenza" avesse eseguito male il lavoro affidatogli, che l'art. 66 del medesimo ccnl qualificava come causa di licenziamento disciplinare l'abbandono del proprio posto di lavoro o la grave negligenza nell'esecuzione di lavori o di ordini che avessero comportato pregiudizio per la incolumità delle persone o per la sicurezza degli impianti, e la "recidività" dei comportamenti del lavoratore che avessero "già dato luogo a una sospensione per la medesima mancanza o una sospensione per mancanza diversa nei quattro mesi precedenti", ha quindi ritenuto, così dimostrando di tenere in debito conto il coordinamento fra le dette clausole, che le mancanze commesse dalla Smotlak non rientravano fra quelle per le quali era prevista una sanzione conservativa sia perché era stata contestata la negligenza unitamente all'imperizia sia per il numero e la gravità, ma configuravano, valutate nel loro complesso, un giustificato motivo di recesso, secondo la previsione del secondo comma dell'art. 66 citato. E tale statuizione è ineccepibile, dovendosi rilevare che ove sia stato adempiuto da parte del datore di lavoro all'onere della contestazione, le singole infrazioni disciplinari, che in sè considerate comportino l'adozione di minori sanzioni, possono nella ricorrenza di ulteriori mancanze comportare, alla stregua di una valutazione globale, l'applicazione di una sanzione più grave ed anche di quella della risoluzione del rapporto, se tale valutazione evidenzi gli estremi di un notevole inadempimento, atteso che nei contratti ad esecuzione continuata la maggiore gravità dell'inadempimento, ai fini della risoluzione, può essere ritenuta, a carico dell'inadempiente, anche in relazione al comportamento successivo del medesimo (Cass. 20 dicembre 1982 n. 7025).
Con il secondo motivo, denunciando illegittimità e nullità della sanzione per mancata o incompleta contestazione dei fatti addebitati, la ricorrente sostiene che la sanzione avrebbe dovuto tenere conto ed essere rapportata soltanto ai due episodi più recenti contestati, quelli del 10 e dell'11 settembre 1992, e non tenere conto anche della precedente attività della ricorrente sul cui esame pure si era dilungata la lettera di addebito.
La doglianza è inammissibile, perché la ricorrente con essa prospetta una questione nuova implicante accertamenti di fatto non compiuti, perché non richiesti, in sede di merito, ove la stessa si limitava a dedurre (v. anche le conclusioni dell'appellante riportate nella sentenza del Tribunale) che il licenziamento era stato disposto senza il rispetto della normativa del contratto collettivo di lavoro richiamato dalle parti ed applicato al rapporto di lavoro.
Il ricorso va dunque rigettato e la ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, è tenuta alla rifusione in favore dell'altra parte delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
 

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in lire 54.500, oltre a lire 3.000.000 (tremilioni) per onorari.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 1998.